Stamani mi sveglio, vado in soggiorno per bermi il mio caffè e vedo fuori dalla finestra una Londra battuta da una copiosa pioggia, manco fosse stato Novembre.
Mi avvicino ai vetri, metto il naso fuori dalla finestra e in effetti è tutto una conferma alla prima occhiata: strade bagnate, nuvole nere in cielo e persone con ombrelli.
E subito penso ai poveri turisti a zonzo per la città, sicuramente coperti alla meno peggio nei loro k-way.
Però, con la coda dell’occhio, il mio sguardo finisce pure sul giardino fronte casa, tutto a prato inglese, rigoglioso, verde e ondeggiante sotto le leggere raffiche di vento. Sembrava così beato sotto quella frescura datagli dalla pioggia.
E quindi rifletto: turisti cari, vi piace molto il prato inglese di Regent Park o Hyde Park, vero? E allora dovete tenervi anche la pioggia di Luglio, sennò manco per sogno potreste starvene a piedi nudi sull’erbetta così meravigliosamente soffice e verdeggiante.
Ed ecco il mio complesso algoritmo che entra in azione: prato (+) prato inglese (x) ma perché si dice proprio inglese? = ⬇️
Il prato inglese in Inghilterra è sempre esistito, molto prima che questa terra si chiamasse Inghilterra, o che il manto erboso si chiamasse prato.
Ciò è dovuto alle favorevoli condizioni climatiche di queste latitudini: Inverni non troppo rigidi, raramente sotto i 5° ed Estati piovose e miti, quasi mai sopra i 30°.
E così è stato per millenni. Un paesaggio caratterizzato da una bellissima e sterminata brughiera incolta, solo verde interrotto qua e là dal bianco delle margherite.
Sino a quando, già dal Medioevo, si affermò la prassi per i signori locali di avere prati ben curati di fronte gli ingressi dei loro castelli.
Un prato ben curato li avrebbe differenziati dai contadini, poiché questo richiedeva grandi estensioni di terreno non coltivato, dove non avrebbero potuto pascolare animali, e che necessitava di molta acqua e forza lavoro per tosarlo.
Tutto questo in cambio di…nulla. Solo erba verde.
Ecco che uno status symbol era nato.
Al tempo, la solidità economica di un signorotto si giudicava anche dall’ampiezza e bellezza del suo prato verde; se questo era giallino o spoglio significava che il suo proprietario era più al verde di lui. 🤣
Ma è solo nel XVIII secolo che si ha, proprio in Inghilterra, “l’età dell’oro” dell’architettura del paesaggio e la nascita del concetto di prato inglese in senso stretto: solo erba, trifogli e “sedges” per l’esattezza, perché anche le margherite, o la più utile camomilla, erano proibite.
Questo si deve a sir Lancelot Brown, ricordato, ancora oggi, come il più grande giardiniere d’Inghilterra, che raffinò lo stile paesaggistico dei giardini di molti ricchi possidenti e nobili inglesi, conferendogli quel design romantico che tanto, oggi, ci piace ammirare nei parchi londinesi: prati soffici e ondulati che scorrono alla vista senza alcun intoppo di alberi o siepi, ma questi sono posti tutti al margine esterno, quasi a creare una cintura botanica selvaggia.
Sir Brown progettò più di 170 parchi durante la sua lunga carriera, molti dei quali ancora visibili al pubblico: solo a Londra abbiamo Holland Park, Kew Garden, Peterbourogh House, Hammersmith Park, Ravenscourt Park. Fuori Londra tanti altri e bellissimi.
Due però furono gli elementi che contribuirono a rendere il prato inglese non solo di fama internazionale ma anche di più facile accesso alla classe borghese che, grazie alla Rivoluzione Industriale, stava ascendendo nella società del tempo, e che sempre più spesso poteva permettersi lussuose magioni, circondate da spaziosi giardini, seppur in periferia.
E quale poteva essere lo stutus symbol che avrebbe differenziato la borghesia dalla nobiltà, la quale invece restava nei suoi palazzi cittadini? Ma un perfetto prato inglese, of course!
Così, il primo elemento chiave per il successo del prato inglese fu l’invenzione del tosaerba meccanico.
Prima di questo, solo la ricca aristocrazia si poteva permettere, per i castelli in campagna, non solo i terreni su cui sfoggiare il prato inglese ma pure la manodopera per curarlo, giorno dopo giorno, radendo l’erba con la semplice falce.
Grazie a Sir Edwin Beard Budding, che nel 1830 ebbe l’idea del primo tosaerba meccanico, si verificò una piccola rivoluzione nel mondo “verde” dei prati all’inglese.
Il secondo elemento chiave fu invece la passione, quasi morbosa, della borghesia del periodo vittoriano per i nascenti sport all’aria aperta: tennis, cricket, golf, e per la cura maniacale, grazie al tosaerba, dei campi erbosi sui quali si disputavano le partite.
Infine, la cospicua emigrazione, a cavallo delle due guerre, verso l’America e l’Australia esportò verso queste terre lontane anche molte tradizioni e pure qualche mania della madrepatria inglese, e tra queste non mancò il prato inglese.
Piccola curiosità: quando sarete a Londra e avrete voglia di ammirare un prato inglese non chiedete di un “greenfield”: vi guarderebbero tutti dubbiosi e straniti. Prato inglese si dice “english lawn” e deriva dalla parola “landa”, che in celtico antico significa terra sterile.
Sotto, nei commenti, scrivetemi dove avete visto il prato inglese più bello e soffice della vostra vita. Non necessariamente a Londra o in UK…E ora, raccontatemi
Di Caterina Amato
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Vallata, coltivata a prato inglese, adiacente il Tamigi, vista da Richmond.